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L'uva Rossese, un brano di 200 anni fa ci racconta storia e segreti del pregiato vitigno ligure

Un testo di Giorgio Gallesio (Finalborgo, 1772 - Firenze, 1839).


enzo.png Posted by Enzo Iorio

Questo testo sull'uva Rossese è tratto da "La Pomona Italiana", di Giorgio Gallesio (Finalborgo, 1772 - Firenze, 1839), la prima e più importante raccolta di immagini e descrizioni di frutta e alberi fruttiferi realizzata in Italia. L'opera, pubblicata in fascicoli tra il 1817 e il 1839, oggi è conservata in pochi esemplari completi. 
Nel brano si avverte tutto il sapore della lingua italiana di duecento anni fa, con espressioni lessicali e sintattiche che ormai non si usano più, ma proprio questo lo rende più interessante... gustoso, da leggere con la dovuta calma, come se stessimo assaporando un calice di buon rossese d'annata.


Vitis vinifera montis-rosei, racemo parco, oblungo irregolari, racemulis exiguis, acinis pumilis, rotundis rarioribus, inequalibus, cortice partim albescente partim roseo, pulpa gratissima, succo albo spiritoso duraturo. Vulgo, Uva Rossese.

Il Rossese è la vite classica della Liguria orientale: è un vitigno vigoroso che produce bene in qualunque modo si tenga.

L'illustrazione è tratta dall'esemplare conservato presso l'Ist. Marsano (Genova), vol. IV: la tavola originale è intitolata Uva Rossese (pagina 37) e precede l'articolo intitolato Uva Rossese (pagine 38-43).

Ha i tralci di color di marrone, divisi in nodi spessi e rilevati, le foglie picciole, leggiermente laciniate in tutto il loro giro, bianchiccie al di sotto ma senza lanugine, e tinte al di sopra di un verde così chiaro che le fa distinguere a colpo d'occhio da quelle di tutte le altre varietà.

I grappoli sono piccioli, lunghi, spargoli, a racemoli eguali e regolari.

Gli acini sono minuti, tondi, di grossezza ineguale, spesso falliti, e la loro buccia, che è bianca, si tinge nella maturità di un rosso sfumato che ha dato il nome al vitigno.

Il vino è bianco, sottile, secco, spiritoso e di serbo, e se la vite è in luogo aprico, somiglia ai vini del Reno.

Quando se ne limita la fermentazione prende un pizzico che piace a molti, e quando è concentrato acquista uno spirito che lo avicina al vino di Madera.


È impossibile il rimontare al di là di tre o quattro secoli per mettere insieme la storia dei nostri vitigni. Si deve credere che quelli che si coltivano al presente nella Lunigiana e nella porzione di Liguria che vi confina, vi esistessero già dai tempi di Plinio; e si può supporre che il Rossese entrasse fra le uve che producevano in quei tempi i vini celebrati di Luni e della Liguria.


Ciò che è certo si è che nei primi secoli del risorgimento dell’agricoltura in Italia, la Liguria Orientale si era resa di nuovo celebre per i suoi vini e specialmente per quelli delle Cinque Terre.

Ne abbiamo un attestato in un passo delle novelle del Sacchetti già da me citato dal quale risulta che in quei tempi, cioè verso il 1350, i Toscani per avere dei vini fini, facevano venire le viti dalle Cinque Terre in Liguria, e specialmente da Corniglia.


La celebrità del vino delle Cinque Terre continuava ancora nel XV. secolo quando già il commercio dei vini, che le Colonie di America chiedevano alla Spagna e alla Francia, avendo portato quei popoli a perfezionare i loro, gli aveva messi in voga in maniera da escludere al confronto tutti gli antichi vini d’Italia.


Il Baccio, che ha scritta la sua storia dei Vini Italiani nel 1590, ne parla come di vini ricercatissimi, e distingue fra tutti il Vino di Rossese, dicendo che era portato in Francia, e nel Belgio pel Rodano, e sino nell’Inghilterra, e che in Roma specialmente era pregiato assai per la sua limpidezza, pel suo gusto, e per la sua salubrità di modo che il Papa Paolo Terzo, lo preferiva ai vini oltramontani, e ne faceva la sua bevanda favorita (1).


Nè la coltura del Rossese si limitava alle sole Cinque Terre. Era estesa da tempi remotissimi a tutta la Liguria, e specialmente alle belle colline di Savona, conosciute anche al presente per i loro vini bianchi, che riuniscono al secco dei vini francesi la fragranza dei vini di Spagna e una leggierezza che gli rende proprj a pasteggiare.
L’Avv. Giuseppe Nervi, distinto cultore delle Lettere in Savona e degno genero dell’illustre antiquario Belloro, mi ha fatto vedere diversi articoli nei libri di amministrazione di quella città del XV. secolo dai quali si conosce che il vino di Rossese, che si faceva in quel territorio, era in allora in gran pregio anche fuori della Liguria.


In essi si legge che in data del 1416 la città fece regalo di una mezzarola di Vino di Rossese a Spinetta Fregoso, Signore di Savona, e ne è notato l’importo in L. 2. 10. di Gen. Un secondo regalo di questo vino si trova registrato sotto l’anno 1436 nella quantità di due mezzarole, che costarono L. 11. e che furono mandate a Gio. Batt. Fregoso, Capitano delle Galee Genovesi. Un terzo fu fatto nel 1487 a Giano Fregoso, personaggio appartenente alla frazione che governava in quei tempi la Repubblica di Genova, e un quarto, di quattro mezzarole fu mandato nel 1468 ai M. Sforza e Pasterola inviati del Duca di Milano.


Tutti questi regali, fatti da una città in allora potente a personaggi di tanto riguardo, provano che il vino di Rossese era tenuto in gran pregio anche dai forestieri, e che era considerato come un vino di lusso.


Nè le sue qualità hanno cangiato col variar dei secoli: esso è ancora al presente un vino squisito; e potrebbe stare al confronto dei migliori vini di Europa, se i nostri agricoltori, più solleciti della qualità che della quantità, coltivassero la vite con più riserva, e dassero alla fattura del vino le cure e le diligenze che vi impiegano gli oltramontani.


Le belle colline di Albisola, e quelle di Legino, così care al Chiabrera, sono sempre le stesse, e l’uva Rossese dei nostri giorni contiene come quella del XV. secolo, i principj di un liquore delizioso.


Ma la coltura ha molto variato: le viti, in generale, sono tenute alte sopra bronconi di castagno o sopra pergole; e con questo metodo producono troppa uva perchè possa essere sufficientemente nudrita ed acquistare la maturità conveniente. Le poche che si tengono basse nei luoghi più aprichi e meno ubertosi, provvedono i vini scelti che i proprietari agiati fanno per proprio uso e che si consumano nei loro conviti senza che mai ne vadano nel commercio.


Non si può dire totalmente lo stesso del vino delle Cinque Terre, sebbene non si curi neppur esso come una volta. In quelle rocche situate sulla riva del mare, una gran parte delle viti sono tenute distese sul suolo a pergolati bassi, e i grappoli, che pendono quasi a tocco di terra e ne ricevono il riverbero, acquistano una maturità completa, sicchè ne sorte un vino da pasteggiare prezioso che è venduto in Genova per le tavole di lusso, e che gareggia coi vini bianchi di Bordò conosciuti sotto il nome di Grave e coi vini del Reno. Ma la loro bontà è tutta dovuta alla qualità del vitigno e alle circostanze della località che favoriscono la maturazione delle uve. Pochi vi aggiungono le cure di una buona vinificazione, e queste sono riservate anche alle Cinque Terre ai vini ricercati che i particolari fanno per proprio uso, e che si devono alle loro mense per festeggiare gli amici, e per celebrare qualche giorno distinto.


Questi però possono stare al confronto di qualunque vino forestiere; ed io ne ho bevuto alla mensa di un amico istruito e agiato che possiede molti vigneti a Monte-Rosso, il Cav. Gritta, e posso assicurare che non lo avrei distinto dal migliore Madera.


Il Rossese è un vitigno che tiene le nebbie di mare; e, se queste lo colgono quando è in fioritura, i fiori falliscono. È perciò che i suoi grappoli restano per lo più radi e spargoli, e che gli acini si trovano quasi sempre frammezzati di peduncoletti a grano abbortito.


Quest’inconveniente è meno sensibile quando le viti sono tenute molto alte come nel Savonese, perchè allora il vento le scuote, e dirada la nebbia salina del mare che le corrode. Esse lo sfuggono pure quando sono tenute distese sul suolo a pergolati bassi come nelle Cinque Terre, o almeno ne soffrono meno che nel sistema dei filagni, che è in uso nel resto della Liguria: in genere però il Rossese è un’uva fallosa e non è di tanto redito come molte altre. La picciolezza dei suoi grappoli, la rarezza degli acini ne rende il prodotto minore di quello che si aspetta, ma questo difetto è compensato dalle sue qualità, e non vi è coltivatore agiato che non voglia averne nei suoi vigneti.

Il Baccio dice che a Monte-Rosso, il Rossese comincia a maturare in Luglio ed è vendemmiabile in Agosto. Io convengo che in quelli scogli situati sulla costa e riscaldati dall’aria di mare, l’uva, che quasi tocca il terreno, matura più presto che altrove, ma so che, malgrado di questo, non vi si vendemmia che dopo la metà di Settembre.


Nei miei vigneti in Finale, il Rossese comincia a maturare verso la fine di Agosto e non è nella sua perfezione che sul cader di Settembre. Qualche volta mi sono trovato bene di lasciarlo alla pianta sino ai primi di Ottobre.


Lo stesso succede nelle colline di Albisola e di Legino, che sono situate sulla costa e che godono di tutto l’orizzonte marino.


Quantunque il Rossese possa considerarsi come una uva precoce è però preceduta dalla maturità non solo dal Dolcetto di Monferrato, ma ancora dal Vermentino dal Trebbiano Fiorentino, dal Rossano di Nizza, e da molte altre uve: le precede però tutte nella vegetazione di primavera, e non ne conosco alcuna che metta così presto.


Non farò parola in questo articolo della sua coltura, per non ripetermi, e rimetterò su questo punto i lettori al mio Trattato sulla Vite.
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testo trascritto da Guglielmo Bonaccorti (Savona)


Note:
(1) Ex ora Genuensi vina … primi … meriti ad Ripam Romanam habentur quæ è Quinque terris pro horum vinorum fama cognominantur, quas a Lovanto antiqui nominis, hodie M. Rosseum appellant, Varnaciam, Corniliam, Manarolam, Rivum majorem. Quorum locorum vina audent cum Centulis comparare: nempe quæ si non robore, suavitate quidem ac salubritate eadem ac similia ex Neapolitano tractu adlata æmulentur. Et illa precipue, quæ hausta in vasis firma consistunt substantia, nec mutantur colore. Unde non modo in Italiam convehuntur, ac Romam, sed in Galliam, et per Rhodanum ad Belgas, et usque in Angliam, mediocribus doliis, ac circulis ferratis mittuntur. In summa vero laude habetur, quod Amabile appellant, ac primi meriti in mensis Principum. Bac. ... De vinis Italiæ, pag. 308.



Razzese, et a M. Roseo in Liguria … Hoc enim uvarum genus ex veementi sole, ac repercossu assiduo caloris super illis lapidum solebris, cum vehementer excoquantur, a primis ferè diebus mensis Julij incipit maturescere, ac tractu dierum ad Augustum usque dulcescit, vitibus presertim pumilis uvisque, propterea per aliquot dies antè vindemiam semipassis, ac simpliciter conculcatis ac expressis syncerissimum vini liquorem fundit. Bac. De vinis Italiæ, pag. 308.



Syncerissimæ substantiæ ejusmodi vina hic Romæ experimur, grandia potius quam suavia, cum insigni odore, ac aureo nitore limpida blandeque in cyathis scintillare. Gratissimi potus, ac multi nutrimenti, maximæ senibus. Pauli III. Auctoritate, atque usu, qui autumno præsertim atque hyeme sub Boreæ algoribus eo potu utebatur, et ex eis præsertim vinis, quæ dulcoris sensum suctu grato preferrent gustui. Sanis utilissimum et valetudinariis. Cœterum ad portum Genuensem, tam ex patriis collibus, quàm aliunde omnis generis advehuntur vina, ex Gallia et ex Italia validiora, nec non suavissima ex Creticis Malvasia, immo et ex Hispaniis gloriosa. Bac. p. 309.


4/11/2009


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