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Ventimiglia, esce oggi il nuovo racconto di Enzo Iorio

Dopo il successo de "L'ultimo passeur", Enzo Iorio torna sul tema dei migranti con "La maschera della libertà", un racconto ironico e a tratti grottesco, per invitarci a riflettere su un'amara verità.


LA MASCHERA DELLA LIBERTÀ
Un racconto di Enzo Iorio

In memoria di Mjmelet 

- 1 -
Ventimiglia, 1 novembre 2016, ore 10.

Erano spariti tutti. Dalla sera alla mattina.
Dei 975 migranti che affollavano il centro di accoglienza di Ventimiglia fino al giorno prima, non ce n’era neanche più uno.
Le autorità, che nelle comunicazioni informali tra di loro definivano senza mezzi termini l’evento sconvolgente e misterioso, in attesa di trovare spiegazioni plausibili da dare in pasto ai media, avevano provveduto a sbarrare i cancelli della struttura di accoglienza e avevano sguinzagliato un paio di funzionari per tenere a bada i giornalisti con informazioni di prammatica.
Fuori dal cancello, il cronista di un network nazionale, collegato in diretta con lo studio centrale, fissò meglio l'auricolare che lo teneva in contatto con la redazione e si rivolse alla telecamera:

- Sì, confermo quanto avete anticipato ai nostri telespettatori; i migranti sembrano essere letteralmente spariti nel nulla. Un silenzio irreale incombe sull'intera struttura e c'è grande sconcerto tra gli operatori. A noi giornalisti viene impedito di varcare il cancello di ingresso per non meglio precisati “motivi di privacy” ma abbiamo saputo da fonti ben informate che questa mattina non si è presentato neanche un ospite in refettorio. Abbiamo chiesto al signor Bianchi, uno dei responsabili del centro, di raccontare ai nostri telespettatori che cosa è successo.
Il cronista rivolse il microfono a un uomo in giacca e cravatta:
- Ehm, al momento posso confermare solo quello che già sapete. Stamattina nessuno degli ospiti del campo si è presentato per la colazione.
- Vi risulta che sia in atto uno sciopero della fame?
- No, assolutamente. Non abbiamo avuto nessuna informazione relativa a proteste.
L’auricolare del cronista gracchiò.
- Dallo studio chiedono dove si sono raccolti i migranti, visto che hanno disertato la sala colazioni.
- Al momento non lo sappiamo... Stiamo facendo accertamenti…
- Gira voce - incalzò il giornalista - che attualmente nel campo non sia presente alcun migrante. Come se fossero tutti spariti improvvisamente. Può confermarlo?
- Come ho già detto stiamo effettuando delle verifiche…
L’auricolare gracchiò di nuovo.
- Dallo studio mi dicono che secondo le informazioni in nostro possesso sembra che anche gli altri luoghi utilizzati solitamente dai migranti come punti di assembramento siano deserti. Il piazzale antistante la stazione ferroviaria di Ventimiglia per esempio è tornato ai flussi precedenti l'emergenza, così come la spiaggia alla foce del fiume Roja. Insomma sembrerebbe che in città non vi siano più migranti. Può confermarlo?
- Non posso confermare, non abbiamo notizie al riguardo.
- Un’ultima domanda: si sa che tutti gli ospiti del centro erano intenzionati a raggiungere la Francia. Avete contattato le autorità francesi per sapere se sono stati registrati movimenti oltre frontiera?
- Su questo punto posso essere più preciso perché ho parlato personalmente con il capitano Buchon che sovrintende alla vigilanza di Ponte San Luigi e di Ponte San Ludovico il quale mi ha confermato che non si sono verificati movimenti anomali né durante la notte, né stamattina. La situazione appare - sue testuali parole - "calme et ennuyeux".

Intanto all'interno del centro, in uno dei locali destinati a dormitorio, il responsabile in capo alla struttura di accoglienza era impegnato in una concitata conversazione telefonica con il vice ministro.
- Le garantisco che abbiamo controllato bene. Era l’alba quando i miei uomini si sono accorti che c'era qualcosa di strano e da quel momento hanno iniziato a perlustrare tutto il campo. L’hanno rivoltato come un calzino ma non hanno trovato un ospite che sia uno. Spariti tutti! Puf! Come dice? No, nei centri di accoglienza per i richiedenti asilo è tutto regolare. Insomma sono spariti solo quelli che non volevano rimanere in Italia. Sì, certo, polizia e carabinieri stanno setacciando la zona ma a quanto pare non hanno niente da segnalare. Insomma, le dico, un mistero. Certo, la informerò non appena ci saranno novità.
Riattaccò, ma non riuscì a scacciare dalla mente alcuni titoli che già da qualche ora imperversavano sui social media. Uno dei più condivisi diceva “Ventimiglia, nella notte di Halloween spariscono 1000 migranti dal centro di prima accoglienza. Il ministro chiede l’intervento di Harry Potter”. Bestemmiò a denti stretti, pensando a quanto fosse dannatamente idiota quell’accostamento tra Halloween e la situazione che si era venuta a creare.



- 2 -
Mandelieu-la-Napoule, 31 ottobre 2016, pochi minuti prima di mezzanotte.

In macchina erano in quattro. Marylin era seduta accanto a Gandhi, il guidatore, e stringeva i denti per non urlare. Quelle maledette piaghe sulla schiena le provocavano ancora dolori lancinanti. Ustioni da carburante. “Hai preso la malattia dei gommoni, figlia mia,” le aveva detto il medico del primo soccorso quella notte che era scampata all’inferno “ne porterai i segni per tutta la vita”. Avevano impiegato sei ore a spogliarla per curare le bruciature lasciate da quel mix micidiale di nafta e acqua di mare. La pelle veniva via a brandelli. Ma almeno era viva. Temeva invece il peggio per Rukiya, la sua gemella, che non aveva più  rivisto sulla nave che l’aveva tratta in salvo insieme ad altri 200. L’aveva pianta per settimane, fino a quando non aveva saputo che sua sorella era stata salvata da un’altra imbarcazione ed era riuscita a raggiungere la Francia. Da allora per Marylin era ricominciata la fuga, stavolta non più dagli stupri e dalle crudeltà dei Janjaweed, i demoni a cavallo che le avevano ammazzato genitori e fratelli, ma dai centri di riconoscimento italiani. Lei non voleva essere identificata perché questo l’avrebbe costretta a rimanere da sola in Italia mentre il suo obiettivo era quello di ricongiungersi a Rukiya che in territorio francese aveva ritrovato una zia e due cugine. Mancava poco per riabbracciarle.
- Pipì, - disse sottovoce il piccolo Einstein.
- Two minutes, baby, - rispose Ghandi, in un inglese stentato, ma che ai suoi occasionali compagni di viaggio sarebbe risultato sicuramente più comprensibile del suo nigeriano.
Sui sedili posteriori dell’automobile sedevano Che Guevara, che teneva sulle ginocchia il piccolo Einstein, e Madre Teresa, i soli superstiti di una famiglia eritrea di sei persone. La donna disse qualcosa al bambino e lui annuì vistosamente col capo.
Marylin si voltò a cercarne lo sguardo e le parve di cogliere un sorriso in quei piccoli occhi. Un sorriso triste che la riportò con la mente ai suoi fratellini. Avevano più o meno la stessa età quando erano stati bruciati vivi insieme ai genitori.



- 3 -
Ventimiglia, tre giorni prima.

Angela Merkel e Matteo Renzi stavano in piedi davanti allo specchio, spalla a spalla, e facevano inchini, gestacci e sberleffi. Poi cominciarono a spintonarsi a vicenda, a tirarsi schiaffi e calci. Infine arrivò una testata…
- Ahi, mi hai fatto male.
- No, TU mi hai fatto male.
I due ragazzi si sfilarono le maschere. Mirko si accasciò sul pavimento in modo spettacolare, come solo lui sapeva fare. Mattia prese a massaggiarsi la fronte in maniera forsennata. Poco dopo ridevano a crepapelle. A undici anni bastano pochi secondi per riprendersi da questo tipo di incidenti.
- Queste della Merkel e di Renzi sono le peggiori, sembrano delle buste di plastica, disse Mirko.
- Con quella miseria che le abbiamo pagate non potevamo aspettarci niente di meglio. Aggiunse Mattia.
- Però ce ne sono alcune fatte veramente bene, per esempio quella di Reagan e quella di Mao.
- Secondo me le migliori sono quella di Elvis e quelle dei Blues Brothers. Comunque vanno benone tutte, anche se sottili, per quello che servono…
- Già. Dai, apriamo anche le altre buste. Siamo in ritardo. Monica mi ha detto che tutti gli altri hanno già consegnato il kit.
I due undicenni erano alle prese con il pacco n. 9, l’ultimo dei dieci giunti dalla Repubblica Popolare Cinese. Conteneva uno stock di cento maschere assortite in lattice-gomma, tutte con difetti di fabbricazione e perciò svendute in blocco a un prezzo incredibilmente basso. La settimana precedente i ragazzi le avevano acquistate con una carta prepagata su un sito web cinese, scovato in seguito a una ricerca per immagini; si erano ritrovati sullo schermo degli esemplari di maschere fantastiche ma per decifrare gli incomprensibili ideogrammi cinesi e per concludere l'acquisto, avevano dovuto ricorrere al traduttore automatico di Google. Il sito diceva “Bellissime maschere realistiche dei personaggi della politica, della musica e dello sport in lattice-gomma, che coprono interamente la vostra testa! Visualizza 1-10 di 60 risultati”. E anche: “Che tu voglia essere Primo Ministro o Maradona o Elvis Presley, non è un problema con le nostre maschere. Disponiamo di una fantastica varietà di maschere dei personaggi più amati ed odiati dal pubblico…”. E poi la pagina con le offerte speciali: “Eccezionale occasione per i vostri parties mascherati. 100 articoli assortiti di seconda scelta ad un prezzo incredibile!!!”.
Era lo stesso bazar on line al quale si erano rivolti anche i compagni di classe di Mirko e Mattia, destinatari degli altri nove pacchi di maschere.



- 4 -
Tre settimane prima.

Classe 1B della scuola media "Umberto Eco", ore 11.05, lezione di Cittadinanza e Costituzione.
- Va bene così, siete stati bravissimi, ma la prossima volta dovremo cercare di fare meno rumore. Magari al piano di sotto qualche classe potrebbe essere impegnata in una verifica e noi non vogliamo certo distrarli…
La professoressa M***** aveva un tono calmo e pacato, ma altrettanto autorevole e convincente. Pochi istanti prima aveva dato agli alunni il permesso di spostare tutti i banchi in fondo all’aula e di sedersi in circolo. Si era scatenato un mezzo finimondo; 27 undicenni impegnati a riorganizzare il setting didattico di una normale aula scolastica mettono a dura prova l’apparato uditivo e il sistema nervoso di un adulto, ma secondo la prof era un’operazione necessaria a rendere i ragazzi più partecipi e responsabili. Adesso il cerchio era perfetto e tutti gli alunni pendevano dalle sue labbra. Lei estrasse bloc-notes e matita dalla tasca posteriore dei jeans e avviò la lezione con quella che sui manuali di pedagogia didattica veniva definita domanda-stimolo.
- Pensate a un problema che vi sta a cuore personalmente e che abbia attinenza con Cittadinanza e Costituzione e proponete voi una domanda.
Non era un compito facile. La prof era perfettamente consapevole di trovarsi in mezzo ad allievi che solo fino a pochi mesi prima erano bambini di quinta elementare, ma in un mese di scuola aveva avuto modo di accertarsi che avevano ricevuto un buon orientamento già nel precedente ciclo di istruzione.
- Perché i migranti non possono andare in Francia?
La domanda, semplice e diretta, era stata formulata da Raoul, alunno ripetente di origine sudamericana, definito da alcuni insegnanti “indolente e con interessi avulsi dalla scuola”.
La prof annotò qualcosa sul blocchetto.
- Io lo so. Ne abbiamo parlato l'anno scorso in quinta nel giorno della memoria, in collegamento alla persecuzione degli ebrei. - Era Giada, brunetta, divoratrice di romanzi fantasy dalle cinquecento pagine in su.
- Sì è vero, - fecero eco diverse voci, - anche noi ne abbiamo parlato.
- Bene, - fece la prof, - allora qualcuno vuol provare a rispondere a Raoul?
I successivi cinquanta minuti filarono via tra schemi alla lavagna, testimonianze dirette, dubbi, ipotesi e proposte. Si parIò dei migranti morti lungo la ferrovia o nel tentativo di percorrere l'autostrada, di quelli che, pur essendo riusciti a oltrepassare la frontiera, erano stati fermati dopo pochi chilometri e "restituiti" a Ventimiglia... I ragazzi che alzavano la mano per intervenire si susseguivano a un ritmo tale che una di essi ricevette l’incarico di stilare la lista delle prenotazioni.

La professoressa M***** non poteva immaginare che la discussione si sarebbe riaccesa quel pomeriggio, in orario extra scolastico, nella chat della classe, tassativamente preclusa agli adulti.
- Facciamo qualcosa per aiutarli? - aveva scritto Rebecca nel gruppo “1B-TheBest” e in un paio d’ore gli smartphone di tutti i ragazzi della classe erano diventati roventi. Alla consueta gara pomeridiana di gossip, parolacce e fantasiose sconcezze su genitori e professori, si era sostituito un inesauribile torrente di post su un tema che col trascorrere del tempo andava via via incanalandosi in quello che all’ora di cena era un argomento ormai assodato e univoco, sintetizzabile con il seguente titolo: come aiutare i migranti bloccati a Ventimiglia a raggiungere la Francia?
Ora, per amor di verità, bisogna dire che non tutti i ragazzi erano mossi da finalità benevole, una certa percentuale portava il proprio contributo per un altro motivo. Lo esplicitò Luca:
- Non se ne può più di vedere Ventimiglia invasa dai migranti mentre nessuno fa niente. E poi ‘sta Francia che non li vuole ci ha proprio scassato!
La discussione si protrasse a lungo e subì tre svolte decisive. La prima avvenne allorché Simone riportò quanto aveva saputo da un non meglio precisato amico di famiglia che faceva il giornalista per un sito web di news locali: “quando la polizia francese li becca oltre Cannes non li può rimandare indietro”.
Era una notizia non ufficiale e non verificabile, ma rappresentava per i ragazzi l’unico appiglio per una soluzione.
Poi venne la seconda svolta, quella impressa da Lorenzo quando, in una sorta di brain-storming, dopo numerosi tentativi inutili aveva postato quella che gli era sembrata una semplice battuta: - Potrei prestargli la mia macchina. Cioè il suv di mio padre, eh eh.
- Ragazzi, - aveva scritto Rebecca - forse quella di Lorenzo non è una cattiva idea.
Fu il sasso nello stagno. Decine di onde concentriche si propagarono attorno a quel primo tonfo che inizialmente aveva suscitato poco più che qualche sorriso. I successivi post furono di questo tenore: mia madre ha una Smart, può andar bene? Mio padre non lascia mai le chiavi in giro ma io so dove tiene quelle di riserva… Noi abbiamo una monovolume a sette posti… io posso metterci il maggiolone di mio fratello e il catorcio di mio nonno…
- Ma siete diventati tutti pazzi? - esordì Francesca. - Non so voi, ma la mia famiglia possiede una sola auto e non possiamo certo darla via!
- Anche noi ne abbiamo una, Franci, e comunque nessuno pensa di regalarla, si tratta solo di un prestito!
- Cosa vuol dire prestito? Come faremo a farcela restituire?
- Ci faremo lasciare la chiave da qualche parte…
- Nella marmitta, - intervenne Davide, - possiamo chiedere a tutti di mettere la chiave lì.
- E poi?
- E poi cosa?
- Come faremo a recuperare le nostre macchine? Voglio dire: dove andremo a cercarle?
- Già, - aggiunse Lisa, - non possiamo mica andare tutti in Francia a chiedere alla gente per strada se hanno visto le nostre macchine!
- Certo che no, - rispose Diego, - ma possiamo chiedere alle persone a cui diamo le chiavi di mandarci un sms con l’indirizzo del punto esatto dove lasciano l’auto… un cellulare ce l’hanno tutti… così poi i nostri genitori potranno recuperarla.
- Ca**o, ragazzi, mio padre mi farà nero.
- E il mio no?
- Credo che dopo avremo tutti quanti una settimana da dimenticare, con castighi e rompimenti vari, ma secondo me ne vale la pena.
- Hai ragione, con quello che passa questa gente, io sono disposta a prendermi anche un paio di schiaffoni per dargli una mano.
- Sono d'accordo, sennò tutto quello che diciamo, solidarietà, carità, sono solo parole.
- E poi oggi Papa Francesco l’ha detto di nuovo: bisogna aiutare i migranti.
- Comunque nessuno ci obbliga. Chi non se la sente… amici come prima. Basta che non spifferi tutto agli adulti! Ok?
- Certo.
- Ok.
- Per me va bene.
- Anche per me.
- Però secondo me non abbiamo abbastanza macchine… ho sentito dire che attualmente i migranti bloccati nella nostra città sono quasi mille!!!
- È vero, ma io, scusate, lo so che avrei dovuto chiederlo prima nel gruppo, ma ne ho parlato con mia cugina Magda di terza media e lei mi ha detto che vuole partecipare con le sue amiche...
- Anche io non sono riuscito a tenermelo e ho postato l’idea di Lorenzo nella chat del gruppo di catechismo… adesso vogliono sapere quando cominciamo...

La terza svolta arrivò in seguito a un post che gelò l’entusiasmo dell’intera comitiva:
- Ciao a tutti, sono Magda di Terza C. Scusate se mi intrometto nel vostro gruppo, ma siccome anche io e la mia classe vorremmo partecipare a questa cosa che state organizzando, credo che bisognerebbe risolvere un problema…
Magda lo chiamò il problema della pelle nera.
La ragazza raccontò che proprio la sera prima, lei e i suoi genitori avevano attraversato la frontiera inosservati e che tante altre auto erano passate come se fossero invisibili sia alla polizia italiana che a quella francese. Solo due macchine erano ferme sul piazzale e venivano controllate accuratamente, con relativa richiesta di documenti. Pelle nera! Magda era sicura al cento per cento che fosse questo il motivo per cui venivano richiesti i documenti a quelle persone: avevano la pelle nera. Una calamita per gli occhi delle guardie. E quella calamita se la portavano addosso la maggior parte dei migranti bloccati a Ventimiglia.
- Per questo motivo, anche se riescono a passare, vengono individuati facilmente e respinti in Italia.

Dunque quello era un problema che bisognava risolvere. Qualsiasi automobile con a bordo quattro/cinque persone di pelle scura non sarebbe passata inosservata, neanche se avesse percorso strade e valichi poco battuti. Come uscire dall'impasse?
Trascorsero un paio di giorni durante i quali le chat sul tema si affievolirono fino quasi a spegnersi del tutto. I ragazzi sembravano aver perso interesse per l'argomento e tornarono alle loro tematiche di conversazione abituali. Poi una sera, quando tutto sembrava ormai dimenticato, un laconico messaggio di Federica ebbe la stessa sorprendente irruenza dell’Eureka di Archimede: - Halloween! Le maschere!!!
Quella sera i cellulari dei ragazzi continuarono a vibrare fino a notte fonda; il fitto e luminoso andirivieni di messaggi che si susseguivano nelle chat trapelava attraverso i piumoni e rischiarava il buio delle camerette. In una manciata di minuti si era formato un unico grande gruppo di discussione i cui componenti appartenevano ormai a tutte le classi del triennio della scuola media "Umberto Eco".
Intorno alle quattro del mattino, i ragazzi potevano contare su un parco macchine di almeno 200 veicoli e si trovarono d'accordo sulla necessità di preparare dei kit da distribuire ai migranti. Ciascun kit consisteva in un semplice sacchetto di plastica contenente:
a) la chiave di un’automobile disponibile
b) una mappa di Ventimiglia utile per trovare la suddetta macchina
c) indicazioni di strade secondarie e valichi abbandonati per raggiungere alcune città francesi ritenute sicure
d) cinque maschere in lattice-gomma
d) un foglio con un messaggio di istruzioni dettagliate in inglese, francese e arabo (tradotte via Google)
Ogni messaggio si concludeva con un fantasmagorico "Buon Halloween a tutti!"




- 5 -
Fréjus, notte di Halloween.

Gandhi fermò la macchina in una stradina laterale di
rue de Gaulle. Erano in territorio francese, a più di cento chilometri oltre la frontiera. Un gruppetto di persone travestite da zombie veniva verso di loro. Quando passarono accanto alla macchina alcune di esse si avvicinarono ai finestrini urlando e gesticolando minacciosamente. Avevano i vestiti inzuppati di sangue finto. I volti attraversati da vistose cicatrici e orrende tumefazioni.
Il piccolo Einstein si aggrappò al collo di suo padre e nascose la faccia. Madre Teresa prese ad accarezzargli la schiena e a parlargli pacatamente, cercando di rassicurarlo.
- Crazy people! No fear. No paura, bambino, - ripeteva Gandhi, mentre rivolgeva i pollici alzati agli zombie, fingendo apprezzamento.
Marylin comprese l'intento del gesto e lo imitò. In pochi istanti i morti viventi si dileguarono e nella strada tornò il silenzio.
- Ok, bienvenu en France! - fece Gandhi aprendo la portiera.
Quando furono scesi tutti, ci fu un breve scambio di saluti. Il bambino saltellava ripetendo "pipì, pipì". I genitori lo presero per mano e si allontanarono in direzione della stazione ferroviaria. Gandhi chiuse le portiere dell’auto e si chinò a riporre la chiave nella marmitta. Estrasse il cellulare  e inviò un sms  al ragazzino che gli aveva consegnato il kit. Poi si avviò verso l'autostrada, per lui il viaggio era ancora molto lungo.
Marylin si ritrovò sola. Avrebbe incontrato le sue cugine alle prime luci del mattino, a poca distanza da lì. La ragazza si sfilò la maschera. La sensazione dell’aria fresca sulla faccia le fece dimenticare per qualche istante il dolore delle ferite sulla schiena. Era il primo giorno di novembre. Le avevano raccontato che in Francia era un mese piovoso e freddo e sperò che questo l’avrebbe aiutata a guarire. Rivolse lo sguardo al cielo. Era nuvoloso, ma la notte sembrava già meno buia. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente. L'alba sarebbe arrivata presto.

Enzo Iorio

Enzo Iorio, insegnante e narratore. Blog: www.enzoiorio.org

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